- Beatrice Andreoli
- 0 Comments
La scorsa settimana si è svolto a Roma il convegno intitolato “Universalità e sostenibilità dei SSN in Europa”, a cui ho partecipato invitata come socia AMCI.
L’evento è stato promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) unitamente a Federazioni e Consigli nazionali degli Ordini delle professioni sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali – tra cui FNOMCEO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri) come rappresentanza della parte medica.
Il convegno si è inserito come seconda tappa di un percorso di tre incontri organizzati nel cammino verso il Giubileo del 2025: il primo incontro si è svolto qualche mese fa a Verona per discutere le povertà del sistema sanitario in Italia, il secondo si è dedicato alle povertà dei sistemi sanitari in Europa, infine il terzo si concentrerà il prossimo anno sulle povertà dei sistemi sanitari nel mondo.
Senza poter sintetizzare la ricchezza esemplare dei contenuti proposti a Roma in poche battute, è interessante porre una riflessione specifica su un tema che è considerevolmente emerso, quale quello del cosiddetto “Long term care”.
Con tale denominazione, traducibile in italiano approssimativamente come “assistenza a lungo termine”, si intende la necessità diffusa per alcuni/e Pazienti di ricevere assistenza sanitaria, sociosanitaria e socioassistenziale continuativa per la presenza di condizioni patologiche croniche.
Non si tratta di una necessità legata per forza all’età avanzata, anche se ciò è in effetti frequente, poiché possono emergere situazioni di cronicità patologica anche in fasi precedenti della vita. Di fatto in altri Paesi europei, non in Italia, da tempi più o meno lunghi esiste già un binario dedicato alla presa in carico ricorrente o continuativa di questa categoria di Pazienti, dedicando ad essa quindi strutture, finanziamenti e personale che non si mescolano alle risorse destinate alla gestione delle situazioni acute o altre.
La collocazione di un/a Paziente nel settore “Long term care” è definita in vari Paesi europei in termini oggettivi sulla base del numero di settimane di ricovero/numero di prestazioni cliniche ricevute in un determinato lasso di tempo (e.g. nell’arco di un anno) in relazione ad una condizione medica.
Le stime economiche proposte da alcuni Relatori durante il recente convegno hanno evidenziato la necessità per l’Italia di organizzare una miglior gestione delle cifre disponibili al fine di evitare sprechi, evitare differenze confuse tra le diverse regioni (ad oggi presenti in base ai dati proposti), rafforzare l’utilizzo di corrette linee guida e protocolli scientifici condivisi ed evitare in generale le disuguaglianze.
Una possibile idea capace di determinare un utilizzo oculato dei fondi a disposizione, vista anche la presenza in Italia di una popolazione particolarmente anziana destinata a crescere numericamente nel prossimo futuro, potrebbe essere appunto quella di ragionare sull’organizzazione dei percorsi “Long term care”.
Occupandomi professionalmente di assistenza medica in strutture residenziali per anziani (case di riposo) e di nutrizione clinica, obesità grave in particolare, posso notare che si tratta proprio di due ambiti in cui nella stragrande maggioranza dei casi le necessità mediche e assistenziali dei/delle Pazienti si presentano a causa di un avanzamento della cronicità di fondo.
Nel caso del grande anziano fragile, infatti, spesso sono presenti problematiche pluripatologiche e/o problematiche metaboliche croniche destinate ad aggravarsi progressivamente nel tempo, talora con sovrapposizioni di situazioni “acute su croniche”. Allo stesso modo, nel caso del/la Paziente con obesità grave assistiamo spesso a complicazioni secondarie all’obesità che determinano un quadro spesso anch’esso pluripatologico: pensiamo ad esempio a problematiche cardiovascolari, diabete mellito, problemi ormonali, patologie osteoartromuscolari o altre, tutte potenzialmente associate all’eccesso grave di peso corporeo.
L’ipotetica disponibilità di vie socio-sanitarie e assistenziali dedicate a queste categorie di Pazienti, assieme ad altre anch’esse eligibili a “Long term care”, potrebbe rappresentare una facilitazione organizzativa (si auspica anche con vantaggio nella gestione economica) per la loro presa in carico multidisciplinare e naturalmente cronica – in primis permettendo un miglioramento qualitativo e strutturale di questa stessa presa in carico.
Pensiamo banalmente alla possibilità di creare punti di accesso acuto differenziati per mezzo di “pronto soccorso” o trasporti urgenti destinati solo a queste persone, in tal modo già conosciute e con risorse selezionate per la loro migliore assistenza – senza che siano costrette a mescolarsi in lunghe attese assieme ad altre con problemi traumatici, incidenti, diverse malattie acute e situazioni che in generale non hanno nulla a che vedere con la cronicità e che hanno pieno diritto a loro volta alla migliore e più rapida gestione possibile.
Ciò potrebbe aiutare a migliorare l’assistenza, perfezionare la destinazione delle risorse, selezionare e ristrutturare i percorsi e – non ultimo – a sollevare il personale medico e infermieristico ospedaliero da carichi di lavoro che in alcuni contesti stanno divenendo invivibili e non più accettabili.
La cura per chi si prende cura
Proprio la necessità di avere cura di chi si prende cura, quindi del personale sanitario nel suo complesso, è stato il primo punto toccato da Papa Francesco in occasione dell’udienza in Vaticano dedicata ai «fratelli e sorelle del mondo della Sanità» il giorno successivo al convegno.
È stata sottolineata la necessità di non dimenticare «la fatica di turni estenuanti, le preoccupazioni [che portano] nel cuore e il dolore [che raccolgono dai loro] Pazienti», che li rende «persone altrettanto bisognose di sostegno». Ad essi vanno rivolti «rispetto, stima e aiuto», riconoscendone e ricambiandone la generosità.
Un secondo appello del Santo Padre è stato indirizzato alla cura degli ultimi, poiché nessuno può essere dimenticato o emarginato, men che meno nessuno può essere escluso dalla possibilità di cura: ciò si colloca molto profondamente nell’attenzione apostolica del pontefice contro la cosiddetta cultura dello scarto.
Ricordiamo poi un’ultima affermazione pronunciata nella stessa udienza: «la lingua latina ha forgiato […] una parola bellissima, consolazione, con-solatio, che indica l’essere uniti “nella solitudine, che allora non è più solitudine” (Cf. Benedetto XVI, Spe Salvi, 39). Ecco la via: essere uniti nella solitudine perché nessuno sia solo nel dolore».
In conclusione, riprendiamo la raccomandazione conclusiva del Papa contro la tentazione individualistica per poter continuare a lavorare nella sanità italiana con unità di forze e di intenti, nel rispetto dei professionisti, per il bene dei Pazienti e con l’attenzione costante al rispetto e sostegno della dignità inesauribile della persona e della sacralità della Vita.